<Chiuderemo gli accessi all’area Ticosa e Santarella>, ripete da giorni l’amministrazione comunale. Una frase che ricorre, in particolare, da venerdì scorso. Da quando l’edificio Santarella – ex centrale termica in disuso, abitata da senzatetto – è stato quasi distrutto da un devastante incendio.
Le persone che dormivano e abitavano all’interno della struttura sono scappate a gambe levate, e per un soffio si è evitata la tragedia. Oggi, a tre giorni di distanza dal rogo, l’area sembra tutt’altro che un fortino inespugnabile. Non servono particolari doti atletiche. Non è nemmeno necessario scavalcare. Per entrare in un’area che dovrebbe essere chiusa e protetta, specialmente dopo un incendio come quello di venerdì, basta camminare. Pochi passi e arriviamo nel retro dell’edificio Santarella. L’odore acre di bruciato diventa sempre più intenso. Incontriamo un gruppetto di persone: alcune di loro abitavano nella struttura e venerdì mattina sono sfuggite alle fiamme scappando.
Le solette divorate, i vetri anneriti. Le putrelle di ferro ritorte per calore sprigionato dall’incendio. Avvicinandosi al gigante di cemento la puzza di bruciato diventa forte, irrespirabile. A giudicare da alcuni resti in una baracca vicina allo stabile, forse qualcuno vive ancora in Santarella. Noi però andiamo. Perché uno scricchiolio, seguito dal fragore di qualcosa – forse un vetro – che cade, ci ricorda che siamo sotto un edificio che, pur avendo resistito a cento anni di storia, venerdì scorso stava per essere raso al suolo da un incendio.