Il sindaco di Como Mario Lucini ha appena passato le ventiquattro ore più lunghe del suo mandato. Le più difficili.
Mai come ora l’amministrazione di Como è stata in bilico. Una Caporetto politica. Ventiquattro ore durante le quali una notizia negativa veniva seguita da un’altra ancora più pesante. E un’altra ancora. Lucini e gli assessori, asserragliati in un fortino angusto, hanno tentato di minimizzare, di dare la colpa alle “condizioni” piuttosto che a errori precisi.
Pur spesse, le mura di questo fortino politico hanno iniziato a cedere alla prima bordata di mercoledì sera. <La grande mostra 2016 non si farà>. Fulmine a ciel sereno. Dopo 12 anni di rassegne, a causa del cantiere a Villa Olmo – voluto dalla stessa amministrazione – salta l’evento culturale clou della città di Como. Ed ecco la prima crepa: il Partito Democratico, fino a quel momento guardia armata del fortino Lucini, prende le distanze dall’assessore Cavadini. <Un fallimento>, dice il segretario cittadino Stefano Fanetti.
E mentre l’amministrazione comunale tenta ancora di ricomporre le fila dopo questa cannonata, arriva il secondo colpo, che si infila dritto nella ferita aperta della città di Como: le paratie. La Corte dei Conti regionale ipotizza un danno erariale da 2,9 milioni di euro, e chiede spiegazioni non solo a due ex dirigenti del cantiere, ma anche a sindaco, sei assessori e un ex assessore.
La terza bordata ieri sera. Cessione di una parte delle quote di Acsm Agam, la ex municipalizzata: Lucini e la giunta vogliono vendere. Ma deve decidere il consiglio comunale. Scelta squisitamente politica. E il consiglio non approva, perché la proposta non convince nemmeno tutta la maggioranza.
Grande mostra, paratie, Acsm. Sono tre colpi duri. Fino a che punto l’amministrazione Lucini è in grado di incassare? Fino a che punto è opportuno incassi senza reagire? Manca un anno alle prossime elezioni. Non è tanto. Ma arrancare per altri dodici mesi, senza cambiare passo, potrebbe essere pericoloso. Per Lucini. E per la città di Como.