(ANSA) – PERUGIA, 16 MAG – "Fate sì che tutte le Laura Santi d’Italia non debbano soffrire": è l’appello di Laura Santi, la giornalista di 50 anni, affetta da una forma progressiva e avanzata di sclerosi multipla, che ha avuto il via libera dall’Usl Umbria 1 per l’accesso al suicidio assistito ma che ancora è in attesa di conoscere modalità di esecuzione. Lo ha lanciato a Perugia in occasione della partenza anche in Umbria della campagna "Liberi subito", la raccolta firme sulla legge di iniziativa popolare promossa dall’associazione Luca Coscioni per garantire "tempi certi e procedure chiare" per l’accesso al suicidio medicalmente assistito. Santi ha partecipato alla raccolta delle firme presso un gazebo allestito in piazza Italia, a Perugia. Presenti Marco Cappato, Matteo Mainardi e la sindaca del capoluogo, Vittoria Ferdinandi. "Io sto sempre più male – ha detto Laura Santi – e avere questa libertà in mano significa vivere al meglio il tempo che mi resta, quale che sia. Non pensate però a me, ai miei tre anni di battaglia legale ancora non conclusa, la mia è una storia piccola, come me ce ne sono tanti in Italia di malati che soffrono e sono in balia di quella che io chiamo crudelmente la ‘lotteria del fine vita’. Tempi e modalità di risposta veramente biblici, inumani, non dignitosi, non rispettosi di una sofferenza grave. Questa legge impone tempi e modalità certe di risposta ai malati. Noi non facciamo nessuna fuga in avanti". La donna, che ha già preso contatti in Svizzera, ha quindi riferito che per quanto riguarda il suo caso sarebbero stati fatti passi in avanti e una risposta dovrebbe arrivare nei prossimi giorni. "Farlo qui in Italia, farlo nel mio letto – ha proseguito Laura – per me sarebbe molto più tranquillo". "Questa non è la campagna dell’Associazione Luca Coscioni o di Laura Santi – ha detto Cappato – ma è l’iniziativa di chi la vuole fare propria, senza alcuna preclusione di partito, di schieramento, di orientamento religioso, filosofico, laico, questa battaglia. Questa proposta dice una cosa semplice: questa legge c’è ed è legale, c’è un dovere per il sistema sanitario a rispondere. In sei anni sono sette le persone in tutta Italia che hanno ottenuto questo diritto. La scelta di lasciare aspettare anni una persona per poter attivare un proprio diritto è una scelta criminale perché può indurre a suicidi che si potrebbero prevenire". (ANSA).