Tredici faldoni. Migliaia di pagine di sentenze, documenti, testimonianze, verbali. Sommati alle parole ascoltate in aula. Alle voci di chi cinquant’anni fa c’era e ha vissuto in prima persona la tragedia di Cristina Mazzotti. A quelle di chi ancora convive con un dolore indicibile. E a quelle di chi nel tempo è stato chiamato a fare indagini e accertamenti, anche a distanza di anni o persino di decenni dalla sera del 30 giugno 1975. Per provare finalmente a scrivere la verità sul sequestro e il brutale omicidio di una ragazza di 18 anni, rapita nel pieno della vita, mentre tornava nella villa di famiglia a Eupilio con il fidanzato e un’amica e ritrovata senza vita due mesi dopo, abbandonata tra i rifiuti in una discarica.
Il processo
Una mole enorme di materiale, emersa o ricostruita nel processo aperto a Como nel settembre dello scorso anno e che si avvia verso la conclusione. Nell’udienza di oggi sono terminati gli interventi dei difensori dei tre imputati. La Corte d’Assise, presieduta da Carlo Cecchetti, si è poi di fatto presa quattro mesi di tempo per analizzare una vicenda complessa e articolata. Un procedimento in qualche modo unico perché arriva a cinquant’anni di distanza dai fatti sui quali i giudici sono chiamati a pronunciarsi. Si tornerà in aula il 4 febbraio del prossimo anno per le repliche e quindi per l’attesa sentenza.
Gli imputati
Sul banco degli imputati ci sono Giuseppe Calabrò, Antonio Talia e Demetrio Latella, tutti accusati di sequestro di persona a scopo di estorsione e omicidio, in concorso, aggravato dalla crudeltà, dai motivi abbietti, dalla minorata difesa della vittima. Un quarto imputato, Giuseppe Morabito, è morto durante il procedimento. Per l’accusa, gli imputati hanno partecipato al sequestro di Cristina. Latella difeso da Maurizio Antoniazzi e Federica Barbero, è l’unico che ha ammesso il suo ruolo attivo nel rapimento. Accusa invece respinta con forza da Calabrò e Talia, sempre presenti in aula a Como accanto ai loro legali ma senza accettare di essere ripresi e fotografati. E, soprattutto, rifiutando di rispondere alle domande in aula. Gli avvocati difensori, Ermanno Gorpia e Piermassimo Marrapodi per Calabrò e Francesco Nucera per Talia hanno sostenuto la totale estraneità ai fatti dei loro assistititi, insistendo su quella che a loro dire è la mancanza totale di elementi di prova a loro carico.
L’accusa e i familiari
L’accusa, con il magistrato della direzione distrettuale antimafia Cecilia Vassena – ora sostituita in aula da Pasquale Addesso – ha chiesto la condanna all’ergastolo dei tre imputati. L’accusa, come le parti civili, il fratello e la sorella di Cristina con i legali Fabio Repici e Ettore Zanoni, sono convinti della colpevolezza di tutti gli imputati. La sentenza tra quattro mesi.