(ANSA) – GENOVA, 20 OTT – Gian Paolo Bregante, l’ex comandante di navi 72enne che un anno fa ha ucciso la moglie Cristina Marini a Sestri Levante (Genova), non ha "agito per provocazione" ma ha "peccato d’orgoglio". E’ quanto scrivono, in sintesi, i giudici della corte d’assise (presidente Massimo Cusatti) nelle motivazioni della sentenza di condanna a 15 anni. All’uomo non è stata riconosciuta l’attenuante della provocazione, come aveva chiesto il pm Stefano Puppo. La difesa (avvocati Federico Ricci e Paolo Scovazzi) aveva chiesto il proscioglimento per totale infermità di mente e, in subordine, al seminfermità. L’uomo, dopo avere sparato alla moglie, aveva chiamato i carabinieri. Aveva sostenuto di averla uccisa perché lei non voleva curare la depressione. Questo, secondo il suo racconto, avrebbe comportato un peggioramento delle sue condizioni rendendola sempre più insofferente e aggressiva. Secondo i giudici, "Bregante s’è determinato a uccidere non già per un qualche movente perverso o comunque odioso, ma perché logorato, fiaccato nell’animo e nel fisico dalla presa d’atto della propria impotenza di fronte alle condizioni realmente insopportabili in cui la malattia della psichica aveva fatto precipitare sua moglie". Il limite "dell’imputato – continua la Corte – è stato quello di presumere di riuscire a resistere ancora a quella convivenza forzata: ma questo peccato d’orgoglio pare il sintomo di una debolezza caratteriale mascherata da quella sicumera impostagli da anni di esercizio del suo ruolo professionale di ‘comando’". In pratica, l’anziano sarebbe stato "condizionato dal dovere ineludibile di lasciare il natante affidato alle sue cure soltanto dopo che anche l’ultimo passeggero l’avesse abbandonato; e il modo quasi istrionico che Bregante ha scelto per ‘mettere in salvo’ la moglie dal naufragio del loro rapporto è stato quello di ucciderla, invece di consentirle di continuare a vivere senza la presenza di un coniuge che, evidentemente, ormai le provocava solo fastidio". (ANSA).