(ANSA) – GENOVA, 21 OTT – Quella di sette anni fa "è una tragedia del profitto. Se la finanza non fosse stata il tiranno della gestione di impresa, se la vera cultura aziendale avesse prevalso, questa tragedia non ci sarebbe stata". E’ in queste parole che si concretizza il motivo per cui, secondo il Comitato ricordo vittime del ponte Morandi, il 14 agosto 2018 morirono 43 persone. A dirlo in aula l’avvocato Raffaele Caruso, che rappresenta l’associazione insieme alla collega Graziella Delfino oltre a Egle Possetti e Marcello Bellasio, in più di quattro ore di arringa. In fondo alla tensostruttura una quindicina di parenti, alcuni in presenza per la prima volta, con gli occhi lucidi e i cuori gonfi di dolore. Un dolore indicibile, come quello di un padre che ha perso i figli e che viene introdotto con la citazione della poesia Pianto Antico di Giosuè Carducci, che "ha diritto a entrare nel processo". Nel ricostruire le responsabilità per quelle morti, Caruso ha ricordato come il crollo sia la "tragedia del capovolgimento delle priorità nella gestione dell’impresa, la tragedia del tradimento del lavoro, il tradimento della cura dovuto a sciatteria, superficialità, svogliatezza". E dunque, "dobbiamo individuare le responsabilità, perché la responsabilità è il riflesso stesso della libertà, solo avendo il coraggio di attribuire le giuste responsabilità onoriamo la libertà", ha continuato il legale. Il Comitato cerca la verità "non fine a se stessa e non sorretta dalla rabbia, ma dalla certezza che la verità è la porta per evitare che piccole e grandi tragedie come questa si ripetano". "Qualcuno ha parlato di santi – ha detto fuori dall’aula Egle Possetti – ma non è accettabile. Nessuno è santo in questo momento ma sono imputati e speriamo che alla fine ci sia qualche colpevole". (ANSA).