A poco più di sei mesi dalle amministrative del 2022 mancano ancora i candidati sindaco della città di Como. L’unico certo, al momento, è Alessandro Rapinese. Candidato civico. Non politico. O meglio, non espressione dei partiti.
Il primo rifiuto – almeno pubblico – è stato quello dell’imprenditore Paolo De Santis. Un candidato vicino al centrosinistra moderato e progressista e nemmeno così lontano dal centrodestra liberale. Nelle scorse ore anche l’ex deputato Pd Mauro Guerra ha declinato l’invito.
Il centrosinistra è quindi in cerca del nome magico. Il centrodestra, tra primarie annunciate e divergenze varie, rischia di presentarsi disunito, come fece nel 2012, quando pagò la spaccatura con una sconfitta.
Vi assicuro che i nostri cronisti, se violassero il segreto professionale, potrebbero fare un lungo elenco di politici comaschi di spicco che, informalmente, a microfoni spenti, dicono di non aver alcuna voglia e alcuna intenzione di affossarsi nel fango di Palazzo Cernezzi.
Sapete qual è la verità? La verità è che nessuno vuole fare il sindaco di Como. Nessuno almeno che abbia qualcosa da perdere, in termini personali o politici.
Come dargli torto? Da tanti, troppi anni Como è il simbolo dell’immobilismo amministrativo e politico. La città addormentata sul lago, che non fa nulla per progredire. Non riqualifica, non investe, non osa. E non riesce spesso a gestire nemmeno l’ordinario, come traffico e cantieri. Le colpe sono ben distribuite tra almeno vent’anni di amministrazioni lente e pesanti, e partiti con la lungimiranza politica di una talpa.
Il risultato è scoraggiante. Nessuno vuole amministrare Como. La vecchia signora, una volta donna affascinante, che oggi nessuno desidera più.