(ANSA) – ROMA, 02 SET – L’immagine del suo corpicino riverso sulla spiaggia di Bodrum, in Turchia, diventò il drammatico simbolo della crisi migratoria del 2015. E dieci anni dopo la situazione non è cambiata e le stragi di bimbi in mare continuano. Era il 2 settembre 2015 quando il cadavere del bimbo, che aveva poco più di tre anni, venne ritrovato in una delle località di vacanza più note della costa egea della Turchia. Da lì, in uno delle centinaia di viaggi disperati verso l’Europa, era partito poche ore prima verso l’isola greca di Kos. Ma il gommone su cui viaggiava, precario e sovraffollato, si inabissò. I soccorritori riuscirono a salvare 9 migranti, ma per lui, la madre Rehana e il fratellino Galib di 5 anni non ci fu nulla da fare. L’istantanea della piccola vittima, scattata dalla fotoreporter turca Nilufer Demir, commosse il mondo e scatenò l’indignazione a livello globale. Per tutti Alan Kurdi è diventato un simbolo. Con il suo nome è stata ribattezzata anche una nave della ong tedesca Sea Eye, impegnata nei soccorsi di migranti nel Mediterraneo. "Ho perso tutto e non ho più niente da chiedere alla vita. Ma i miei figli Alan e Galip, e mia moglie, non sono morti invano. Non è stato un sacrificio inutile perchè in cuor mio sento che il mondo si sta svegliando e si sta rendendo conto del dramma della Siria e del bisogno di pace" aveva detto il padre del bimbo, Abdullah Kurdi subito dopo il naufragio. Aveva pagato 4000 euro per quel viaggio della morte, per quel passaggio di 5 chilometri su un gommone che da Bodrum li avrebbe portati all’isola greca di Kos. Volevano andare in Canada. (ANSA).