(ANSA) – ROMA, 24 FEB – A un anno dalla guerra in Ucraina, l’Unicef ha raggiunto oltre 100 mila rifugiati ucraini in Italia: oltre 15 mila attraverso interventi diretti di protezione, prevenzione e risposta alla violenza di genere, supporto psicosociale e ai percorsi di formazione e inclusione, oltre 95 mila con informative online. Dall’inizio dell’emergenza a oggi l’Italia ha ospitato oltre 173 mila rifugiati dall’Ucraina, tra cui circa 92 mila donne e circa 50 mila bambine, bambini e adolescenti. Nella prima fase dell’emergenza l’azione dell’Unicef ha prioritizzato i bisogni di protezione rilevati presso le frontiere terrestri del nord-est Italia, dove si concentravano i flussi di ingresso. In collaborazione con le organizzazioni Arci, D.i.Re (Donne in Rete contro la violenza), Save the Children, l’associazione Stella Polare, Unicef e Unhcr hanno attivato due Blue Dot in Friuli-Venezia Giulia, nei valichi di frontiera di Fernetti (Trieste) e Tarvisio (Udine). I due centri di supporto per minorenni, donne, famiglie e persone con esigenze specifiche sono rimasti attivi per tutto il 2022 fornendo informative, supporto psicosociale, rinvio a servizi sul territorio, inclusi di prevenzione e risposta alla violenza di genere, raggiungendo oltre 10.700 persone (circa 7500 adulti, per lo più mamme, e oltre 3200 minorenni tra cui quasi 500 minori non accompagnati). L’Unicef ha inoltre raggiunto dallo scorso anno a oggi oltre 5000 minorenni attraverso il rinvio a servizi specializzati di supporto psicosociale e di salute mentale, informative sui meccanismi di protezione e consulenza legale, e soluzioni di accoglienza in famiglia (che hanno coinvolto circa 50 nuclei familiari dall’Ucraina), e oltre 600 donne e minori con interventi di prevenzione e risposta alla violenza di genere. L’Unicef ha supportato, inoltre, in collaborazione con l’Unhcr il Dipartimento della Protezione Civile nello sviluppo di procedure per integrare la mitigazione del rischio di violenza di genere e la tutela dei minori dal rischio di sfruttamento e abuso nella cosiddetta "accoglienza diffusa". (ANSA).