“Don, ho male ai denti”. “Finisco con le colazioni e ti accompagno dal medico”. L’ennesima offerta di aiuto di don Roberto Malgesini. L’ultima di una vita al servizio di chiunque avesse bisogno. Come Ridha Mahmoudi, tunisino oggi quasi 60enne, che dal prete degli ultimi aveva avuto sostegno e assistenza. E che la mattina del 15 settembre 2020, in piazza San Rocco, si è presentato con un coltello. All’offerta di aiuto del sacerdote ha risposto con una serie di colpi inferti con violenza, uno mortale al polmone. Vani i tentativi della vittima di difendersi. E quando don Roberto era a terra, ormai esanime, l’omicida ha infierito sul corpo.
“Ho ancora incancellabile l’immagine della drammatica scena di don Roberto disteso a terra, sanguinante, appena deceduto, sul piazzale di san Rocco, quando subito accorsi, alla notizia sconvolgente di ciò che era successo”, ha detto il cardinale Oscar Cantoni nel quinto anniversario dell’omicidio. Il tunisino intanto aveva raggiunto la caserma dei carabinieri di Como ed era entrato spiegando l’accaduto. Si sentiva vittima di un complotto per essere mandato via dall’Italia e se l’era presa con chi più di tutti l’aveva aiutato, la sintesi che sarebbe emersa nelle successive indagini.
“Un delitto premeditato e preparato”, aveva sancito il pubblico ministero Massimo Astori, oggi procuratore di Como, chiedendo il rinvio a giudizio. Il primo passo di un iter giudiziario che si è chiuso nel mese di maggio del 2023. La Corte di Cassazione ha dichiarato inammissibile il ricorso della difesa di Ridha Mahmoudi, confermando in via definitiva la condanna a 25 anni di reclusione. La difesa ha sempre sostenuto l’incapacità di intendere e volere di Ridha Mahmoudi al momento dell’omicidio.
In primo grado, in Tribunale a Como il tunisino era stato condannato all’ergastolo. Nel processo d’Appello la pena era stata ridotta a 25 anni perché all’omicida erano state concesse le attenuanti generiche equivalenti alle aggravanti, ovvero premeditazione, efferatezza del delitto e recidiva. Pena di 25 anni poi diventata definitiva.
Un iter giudiziario chiuso mentre già si invocava l’apertura di un altro processo, quello per la beatificazione di don Roberto. Il sacrificio del prete degli ultimi ha subito varcato i confini della diocesi di Como. Già un mese dopo l’omicidio l’allora papa Francesco aveva incontrato la famiglia del sacerdote. “Prima di entrare in Aula – ha riferito il pontefice – ho incontrato i genitori di quel sacerdote della diocesi di Como che è stato ucciso nel suo servizio per aiutare. Questo figlio ha dato la vita nel servizio dei poveri”. Cinque anni dopo, la Chiesa può avviare l’iter. Il vescovo di Como si è fatto portavoce del volere della comunità: “Don Roberto sia beato”.