Trecentoquaranta comaschi che non ci sono più e che, senza il Covid, probabilmente non sarebbero nella lista dei morti. Le drammatiche e devastanti conseguenze della pandemia in Italia e in Lombardia in particolare sono evidenti a tutti. I numeri diffusi oggi per la prima volta dall’Istat sull’impatto dell’epidemia Covid-19 sulla mortalità nel Paese rendono se possibile ancora più evidenti i termini di un’ecatombe senza precedenti. Perché i numeri scattano una fotografia chiara e inequivocabile. E perché dietro questi numeri ci sono persone che non ci sono più. Ci sono vuoti con cui migliaia di famiglie si stanno trovando a fare i conti.
L’istantanea consegnata dall’Istat è quella di un’Italia divisa almeno in tre. Se nel mese di marzo, a livello nazionale, l’aumento medio dei decessi rispetto allo stesso periodo nel quinquennio 2015-2019 è del 49,4%, le differenze tra una zona e un’altra sono abissali. A Bergamo, triste epicentro di questo dramma, l’aumento dei morti nel mese di marzo è stato del 568%. Nelle zone sono sfiorate dalla pandemia i decessi registrati sono addirittura in calo rispetto ai cinque anni precedenti.
A Como, l’aumento dei morti registrato nello scorso mese di marzo è del 64% rispetto allo stesso periodo dei cinque anni precedenti. Dal 20 febbraio, data del primo caso accertato in Lombardia a fine marzo, in provincia di Como sono morte 1008 persone rispetto alla media di 668 degli anni precedenti. A gennaio e febbraio, per rendere ancora meglio l’idea, i decessi erano calati del 6% rispetto al quinquennio precedente. L’Istat non lo può sottoscrivere, ma possiamo pensare a 340 comaschi che, senza il Covid, oggi non sarebbero nell’elenco dei defunti.
E il bilancio, purtroppo, non è certo definitivo. “Il consolidamento dei dati di mortalità – sancisce laconico il rapporto dell’Istat – si avrà solo continuando a monitorare l’evoluzione del fenomeno nelle prossime settimane o mesi”.