Il mio editoriale di ieri (QUI IL TESTO) ha scatenato la reazione del cosiddetto “popolo del web”. A volte fa più rumore un albero che cade che una foresta che cresce. Tradotto: chi protesta fa chiasso ma spesso non è la maggioranza. Mi preme però precisare un paio di aspetti, soprattutto per chi non ha avuto la pazienza di andare oltre il titolo e si è aggrappato alla tastiera commentando con livore.
Primo: io non ho mai paragonato i tifosi a teppisti. E mai lo farei, per rispetto nei confronti della passione che anima migliaia di appassionati. Chiunque abbia letto l’articolo per intero e non si sia fermato al titolo può capirlo. Al contrario: ho separato nettamente i tifosi veri – la maggior parte, ne conosco a dozzine – dai pochi, pochissimi teppisti che invece nel calcio italiano sfruttano le partite per dare sfogo a violenza e aggressività. I tifosi veri – le tribune del Como ne sono zeppe – sono anch’essi vittime di quei pochi interessati più ai disordini che al calcio. E vanno tutelati. Perché anche loro vivrebbero più serenamente certe partite se non vi fosse bisogno di schierare le forze dell’ordine.
Secondo: ho letto troppe volte che noi vorremmo “spostare lo stadio”, scrivendo articoli sotto dettatura di fantomatici “potenti”. Niente di più sbagliato e fantasioso. A noi interessa solamente rilevare una questione delicata per la città e parlarne. Il problema è nella posizione dello stadio? Nella gestione dei flussi dei tifosi? Nell’organizzazione della logistica? Benissimo. Parliamone. Non ho ricette facili e soluzioni veloci, ma se il problema esiste da decenni, non significa che sia inutile parlarne. Anzi, è assurdo e aggressivo l’atteggiamento di chi vorrebbe imporre il silenzio sulla questione.
Terzo: dire che pochi teppisti, ben distinti dalla maggioranza dei tifosi veri e sani, creano disordini, non significa – come ho letto – “andare contro il Como”. Tutt’altro. Significa stare dalla parte di chi allo stadio va per esultare e gioire con gli azzurri. Significa stare con una società seria, che sta rendendo onore alla maglia del Como. Significa – e qui forse sono un inguaribile idealista – sperare che prima o poi il calcio sia solo calcio, e non esistano partite “calde”. O meglio, “a rischio”. Perché significherebbe finalmente aver isolato i pochi violenti.
Spero di aver chiarito la posizione con queste righe. Chi insulta (oltre a risponderne eventualmente nelle sedi competenti) si qualifica da sé. Chi vuole (vorrebbe) imporre il silenzio sulla questione, si metta l’anima in pace. Chi invece vuole contribuire al dibattito, o anche criticare o dissentire, è il benvenuto. Detto questo, viva il Como, viva il calcio e viva i tifosi. Quelli veri.