Si è chiuso il processo di primo grado e la sentenza ha sancito che non c’era la ‘ndrangheta dietro alla presunta attività di controllo delle discoteche e dei locali del comasco. È quanto pronunciato stamattina dai giudici di Milano in merito all’inchiesta della Direzione Distrettuale Antimafia sfociata nell’operazione “Gaia”, che aveva riguardato i locali, le discoteche e la gestione dei buttafuori.
La pubblica accusa aveva chiesto complessivamente 204 anni e mezzo di condanna per i 18 imputati, da un minimo di 4 anni e 4 mesi a un massimo di 20 anni di carcere. Accuse che a vario titolo parlavano di associazione per delinquere di stampo mafioso, estorsione, porto abusivo di armi, ma anche di traffico internazionale di sostanze stupefacenti. Al termine del processo di primo grado sono arrivate sedici condanne su diciotto, ma con pene più basse (per un totale di 127 anni, da un minimo di 2 anni ad un massimo di 14) ma senza quel «capo 1» pesantissimo che riguardava l’appartenenza alla ‘ndrangheta per quattro degli indagati.
Assolti, «perché il fatto non sussiste», Umberto e Carmelo Cristello (il primo residente a Seregno, il secondo a Cabiate), e assolti anche Luca Vacca (residente a Mariano Comense) e Daniele Scolari, comasco residente a Misinto. Secondo i giudici di primo grado, non avevano nulla a che vedere con la criminalità organizzata di stampo mafioso. I quattro sono stati comunque condannati ma per altre contestazioni (compresa l’estorsione) non associative. L’indagine ruotava attorno allo spaccio e alla gestione dei servizi di sicurezza dei locali notturni, discoteche e pub tra le zone di Como, Erba, Cantù, Monza e Milano.