Nuove reclute e nuove generazioni di affiliati alla ‘ndrangheta. E anche metodi diversi di azione, che alla matrice mafiosa affiancano obiettivi criminali più comuni.
L’evoluzione della criminalità organizzata in Lombardia e in provincia di Como emerge dalle quasi mille pagine di motivazioni della sentenza del giudice dell’udienza preliminare di Milano Lorenza Pasquinelli nel maxi processo del dicembre scorso. Il giudice aveva inflitto pene complessive per quasi 230 anni. Tutti condannati i 34 imputati, in gran parte residenti sul territorio comasco, nel procedimento seguito all’inchiesta sfociata nell’operazione “Cavalli di razza”.
Nelle motivazioni si fa riferimento a “un arricchimento del panorama umano di riferimento della ‘ndrangheta”. “Le locali – si legge ancora – si compongono non solo di personalità mafiose già note, ma anche di nuove generazioni, nuove reclute e, soprattutto, nuovi meccanismi osmotici rispetto al contesto storico e geografico di riferimento. Ciò genera situazioni, anche nuove, caratterizzate da una mescolanza di strumentalizzazione del metodo e della matrice mafiosa con il perseguimento di obiettivi criminali più comuni”.
Il procedimento era seguito a un blitz del novembre 2021. La sentenza ha previsto pene da un massimo di 11 anni e 8 mesi fino a un minimo di 2. A questo si aggiungono sanzioni, confische di beni, risarcimenti alle parti civili e pene accessorie come l’interdizione dai pubblici uffici.
L’indagine era stata condotta dalla squadra mobile di Milano e della guardia di finanza di Como e coordinata dai magistrati della direzione distrettuale antimafia Pasquale Addesso e Sara Ombra.
In seguito all’operazione è in corso un processo anche a Como in Corte d’Assise. Giovedì è prevista la requisitoria dell’accusa con la richiesta delle eventuali pene per gli imputati.