Sentenza nel processo d’Appello per l’omicidio di don Roberto Malgesini, il sacerdote ucciso in piazza San Rocco il 15 settembre 2020. Ridha Mahmoudi, il tunisino di 53 anni accusato dell’omicidio è stato condannato a 25 anni di reclusione. In primo grado era stato condannato all’ergastolo.
La Corte d’Assise d’Appello di Milano, prima sezione penale, ha riconosciuto il tunisino capace di intendere e di volere dopo l’esito della perizia psichiatrica. A Ridha Mahmoudi sono state concesse però le attenuanti generiche equivalenti alle aggravanti, ovvero premeditazione, efferatezza del delitto e recidiva. La sentenza è di condanna a 25 anni. Le motivazioni saranno rese note entro trenta giorni.
La perizia
L’udienza di oggi è stata incentrata sulla perizia psichiatrica che la Corte d’Appello ha disposto per chiarire le condizioni di salute mentale del tunisino. Lo psichiatra forense Marco Lagazzi, che con Mara Bertini ha effettuato la perizia, ha ritenuto Ridha Mahmoudi capace di intendere e volere. Opposta la tesi del consulente della difesa Mario Pigazzini, che ha indicato il 53enne totalmente incapace di intendere e volere e non imputabile.
L’accusa ha ribadito la richiesta della condanna all’ergastolo. La difesa, con l’avvocato Sonia Bova ha chiesto invece l’assoluzione per l’incapacità di intendere e volere o, in subordine, la parziale incapacità e il riconoscimento delle attenuanti come prevalenti.
Al termine della camera di consiglio la lettura della sentenza, con la condanna di Ridha Mahmoudi a 25 anni. Il tunisino, al momento, continuerà a scontare la pena nel carcere di Monza, dove è detenuto dopo il trasferimento dal Bassone.
La difesa
La difesa annuncia già un ricorso in Cassazione. “Siamo convinti dell’incapacità di intendere e volere di Ridha Mahmoudi, tesi confermata dal nostro consulente – dice l’avvocato Sonia Bova – Aspettiamo le motivazioni della sentenza, poi presenteremo ricorso in Cassazione. Valuteremo inoltre l’eventualità di presentare un’istanza per chiedere la modifica della custodia cautelare in carcere in arresti domiciliari in una struttura psichiatrica adatta”.