“Franco Mancuso ha battezzato mia figlia”. Lo ripete più volte, nel corso della lunghissima testimonianza in Corte d’Assise a Como, il “compare” dell’autotrasportatore ucciso a colpi di pistola in un bar di Bulgorello di Cadorago l’8 agosto 2008. Lo ripete, ma ripete in continuazione anche che “Franco non era uno stinco di santo”, che “beveva e litigava con tutti” e che “girava sempre armato, con una pistola nel marsupio”.
Il resto della testimonianza è fatta di “non ricordo”, risposte in contraddizione l’una con l’altra, smentite delle dichiarazioni rilasciate nei primi verbali dopo il delitto, presunte rivelazioni sui litigi di Mancuso con albanesi non meglio identificati. E persino prese di posizione in difesa dei due imputati, Bartolomeo Iaconis e Luciano Rullo, per l’accusa mandante ed esecutore materiale del delitto, che il testimone dice di non conoscere ma che descrive come “bravi padri di famiglia”. “Si fa presto a rovinare con i sospetti persone rispettabili”, aggiunge.
Nelle oltre tre ore di testimonianza, in più occasioni il pubblico ministero Cecilia Vassena, della Direzione distrettuale antimafia di Milano attacca direttamente il testimone, contesta le dichiarazioni contradditorie e l’atteggiamento reticente. “Ha problemi di memoria o forse di fifa”, incalza il magistrato, con il testimone che ribatte: “Fifa zero, io”. “Non ho ricevuto pressioni né altro in vista della mia testimonianza di oggi, se è questo che vuole sapere”, dice l’amico di Franco Mancuso, che pure poi racconta di un recente episodio che sarebbe avvenuto a Milano: “Ero con la mia compagna, ci ha avvicinato uno scooter con una persona che ha esploso 7-8 colpi contro la nostra macchina”. “Non è una cosa che ha a che fare con questo processo – aggiunge però – A Milano litigo, è un fatto legato ad altre situazioni”.
L’amico di Mancuso, che ha trascorso lunghi periodi in carcere, ricorda una perquisizione delle forze dell’ordine nella sua abitazione. “Cercavano armi che non hanno trovato perché non avevo nulla”, dice attaccando poi direttamente la vittima: “Me li ha mandati Franco, sono sicuro. Sono andato a parlargli e lui ha negato, ma poi ho lasciato stare. Cosa dovevo fare?”.
Nelle prossime udienze sono previsti altri testimoni chiamati dall’accusa. La sentenza dovrebbe essere pronunciata entro aprile.