Ieri il vescovo di Como, cardinale Oscar Cantoni, ha presieduto la messa nella basilica del SS. Crocifisso, in viale Varese. Nel corso della celebrazione, il sindaco della città, Alessandro Rapinese, a nome della cittadinanza, ha offerto il cero votivo che, in segno di riconoscenza, arde tutto l’anno sull’altare maggiore del santuario. Sul candelabro del cero si legge: “Nella guerra 1940-45 Como salvata dal suo Crocifisso dai bombardamenti. A perpetua riconoscenza questo cero arderà sempre”.
È dal 1945 che a Como si rinnova un momento di preghiera dal profondo valore religioso e civile: il rito della Riconoscenza. Un ringraziamento rivolto al Crocifisso miracoloso (venerato in città fin dal XV secolo e conservato nell’omonima basilica di viale Varese), che si ripete da 78 anni, per aver protetto la città dai bombardamenti e dalle devastazioni della seconda guerra mondiale.
La storia
Nel 1942, nel pieno della Seconda guerra mondiale, si dava per certa la notizia di un imponente bombardamento su Como e la convalle. Il 3 gennaio 1943, sotto la minaccia di un’incursione aerea, più di 20.000 fedeli accompagnarono il santissimo Crocifisso in processione straordinaria per le vie della città. A guidare i comaschi, dal Santuario alla Cattedrale per poi rientrare in Santuario passando per il lago e il cuore del centro storico, fu il vescovo, monsignor Alessandro Macchi. Le cronache dell’epoca descrivono un Vescovo Macchi commosso di fronte a una folla mai vista prime per le strade di Como, nemmeno in occasione della processione del Venerdì Santo: fedeli che avevano sfidato il freddo e il rischio delle bombe. Nelle settimane precedenti la processione, oltre 35mila comaschi sottoscrissero una supplica indirizzata al Crocifisso. Firme raccolte in decine di libri che passarono di parrocchia in parrocchia.
È un dato storico che la città venne risparmiata dalle devastazioni della guerra. E così, nel maggio 1945, il vescovo Macchi radunò di nuovo i comaschi per una processione che esprimesse la gratitudine di tutti. Il 10 giugno 1945 (anniversario della dichiarazione di guerra) il santissimo Crocifisso venne portato in Cattedrale e qui fu esposto per una settimana all’adorazione dei fedeli. Il 17 giugno 1945, a conclusione della settimana di esposizione in Cattedrale, il Crocifisso venne solennemente incoronato dal Beato cardinal Ildefonso Schuster, allora arcivescovo di Milano. Il Vescovo Macchi dispose che, dalle 15.30 alle 16 del 17 giugno, le campane suonassero a distesa, per mezz’ora, nelle chiese di tutta la diocesi. Al termine del rito, il Crocifisso rientrò in processione nella “sua” basilica, accompagnato, ancora una volta da migliaia di fedeli.
Dal 1953 è l’amministrazione comunale a farsi carico dell’onere relativo all’offerta del cero che, ogni anno la cittadinanza di Como, per mano del sindaco, offre al suo Crocifisso.
L’omelia del cardinale Cantoni
“A chiusura dell’anno liturgico, celebriamo oggi la festa di Cristo, re dell’universo e signore della storia, colui che ci giudicherà, a partire dal suo metro di misura, non dal nostro.
Oggi ci è data l’opportunità, in un tempo di sincerità con noi stessi e prima ancora di sottoporci al giudizio di Dio, ma in vista di ciò, di valutare, fin che siamo in tempo, i criteri con cui abbiamo vissuto finora, chiarire a noi stessi le finalità che abbiamo perseguito con il nostro agire lungo la storia complessiva della nostra vita e nei singoli atti.
È opportuno che ci domandiamo: Qual è lo scopo della mia vita, cosa sto realizzando attraverso il mio agire quotidiano? E soprattutto per chi vivo?
Quanto gusto e quanta passione metto nelle attività che svolgo, ma a servizio e a beneficio di chi?
Perché noi uomini e donne siamo esseri sociali, in relazione stabile con gli altri, da cui non possiamo sottrarci e non comprometterci, vivendo come in uno splendido isolamento.
Quante persone, invece, vivono per loro stesse, per una ricerca della loro personale felicità, nella totale indifferenza e nel pieno distacco da quanto succede attorno a loro, magari solo per il raggiungimento di un certo prestigio, o di un benessere economico, o di una carica onorifica, illudendosi di dare lustro alla propria persona.
Siamo in un momento storico in cui tanta gente ha perso fiducia nelle istituzioni e anche nella Chiesa.
Ma questo non è proprio il tempo di piangerci addosso o di fare lamenti, né di isolarsi in un pessimismo esasperato, né di fare i depressi.
La nostra è stata definita “un’epoca dalla passioni tristi”. Sappiamo che questa è non solo un tempo di cambiamento, ma di un cambiamento d’epoca e noi non possiamo stare alla finestra o giacere immobili su un divano. Come se la cosa pubblica non ci riguardasse o la comunità cristiana potesse vivere senza il nostro coinvolgimento attivo e responsabile.
Il Vangelo di oggi ci indica il metro con cui saremo giudicati, ossia su quanto avremo amato. L’ultimo giudizio sarà solo sull’amore.
In un tempo di grandi crisi affettive è bene chiarire cosa sia amore vero, che non è certo solo un sentimento passeggero, né tanto meno possedere l’altro, fino a dominarlo.
L’amore si dimostra non nelle grandi promesse, ma nei dettagli. Nelle situazioni semplici, ma quotidiane, cercando il vero bene dell’altro, e non il nostro, senza sottrarci con astuzia e con vaghi pretesti, alle nostre responsabilità, ma prendendosi cura dell’altro anche a costo di fatiche.
La pagina evangelica narra il giudizio negativo del giudice per coloro che si sono sentiti esonerati dall’impegno concreto: “avevo fame e non mi avete dato da mangiare, avevo sete e non mi avete dato da bere, ero nudo e non mi avete rivestito, ecc.”. Sono i cosiddetti “peccati di omissione” quelli che non confessiamo mai, eppure determinano il giudizio.
La pagina evangelica ci istruisce anche nel ricercare il Signore Gesù, che si identifica con i più miseri, gli ultimi della terra, gli scartati, che noi facilmente ignoriamo o mettiamo da parte. Non contano, non sono importanti, non votano. Eppure, preziosi agli occhi di Dio perché anch’essi suoi figli, dotati di dignità incomparabile.
Alla luce di questi criteri chiediamo un supplemento di fede perché il Signore ci doni mente, occhi, mani e cuore per vivere la nostra vita con criteri fondati sulla fraternità, che è la radice e il frutto della nostra pace”.