L’atteso trapianto di rene, nel 2009 all’ospedale Niguarda di Milano doveva essere l’inizio di una nuova vita per un 72enne milanese che aspettava da tempo l’intervento. L’organo tanto atteso, arrivato dall’ospedale Valduce, doveva salvargli la vita. L’intervento si è rivelato invece l’inizio di un nuovo calvario terminato purtroppo nel 2014 con la morte del paziente.
Il rene infatti era infatti stato colpito, prima del trapianto, da una neoplasia che si era poi sviluppata nel donatore e che è stata trasferita anche nel corpo del paziente che aveva ricevuto l’organo. La dolorosa vicenda è finita al centro di un caso giudiziario di fronte al Tribunale Civile di Como.
La moglie e la figlia della vittima chiedevano un risarcimento milionario all’ospedale comasco, «per il mancato tempestivo riscontro» dell’esistenza di un tumore nell’organo trapiantato, un «rischio inaccettabile» che avrebbe violato i criteri previsti per valutare le idoneità dei donatori.
Nella vicenda civile si è inserito il perito del giudice che ha tuttavia sottolineato come non fosse possibile per il Valduce «diagnosticare la malattia del donatore», dato che non vi erano «segni obiettivi a carico dei vari organi». Indagini più approfondite, avrebbero inoltre portato ad attendere un tempo di 14 giorni, mentre nell’ospedale di Como sono state «seguite e rispettate le linee guida» che però non escludono il rischio di trasmissione di patologie.
Il giudice di Como Marco Mancini, ha accolto, anche se in parte, la richiesta dei familiari concedendo un risarcimento quantificato in 150mila euro. Il motivo è da ricercare nel «ritardo nella comunicazione». Un avviso più solerte avrebbe permesso di iniziare prima le terapie, e avrebbe anche consentito una maggiore sorveglianza da parte dei medici e migliori risultati per il paziente.