Elenca con precisione e senza tentennamenti date, orari, nomi, fatti degli ultimi vent’anni, dal suo arrivo in Italia, “il 19 settembre 1992, sabato” in poi. Ma quando si fa riferimento al 15 ottobre 2020, il giorno dell’omicidio di don Roberto Malgesini, Ridha Mahmoudi ripete con ostinazione “non ricordo”, ritrattando la sua stessa confessione resa davanti al pubblico ministero Massimo Astori poche ore dopo il delitto.
“Non ho mai detto quelle cose”, ripete quando il magistrato gli rilegge il verbale dell’interrogatorio, durante il quale aveva dichiarato: “Volevo uccidere chi mi ha fatto del male, gli avvocati, il prete. Preso dalla rabbia e armato di coltello andavo a realizzare il mio progetto”. “Frasi mai uscite dalla mia bocca”, dice oggi in aula il tunisino che, contraddicendosi più volte, arriva addirittura a dire: “Non ho mai conosciuto don Roberto”.
Davanti alla Corte d’Assise, Mahmoudi ripete di essere vittima di un complotto, della presunta trappola per rimandarlo in Tunisia. Ricorda i lavori che ha svolto, il matrimonio poi finito, le visite mediche per la sua patologia agli occhi per la quale, a suo dire, sarebbe dovuto restare in Italia. Racconta la sua storia nei dettagli, ma si ferma al 14 settembre 2020.
Il giorno successivo non esiste. “Non mi ricordo, non so dove sia piazza San Rocco, non conosco don Roberto”, ripete. Salvo poi dire: “Come si permette di toccare il mio fascicolo, di andare a cercare un medico legale falso per la mia pratica”. “Avete insegnato agli stranieri a dire bugie – attacca il tunisino – Vi rendete conto di quello che avete combinato?”.
“Sa che don Roberto è morto?”, gli chiede il suo legale. “No”, dice. E aggiunge: “Ma non credo che si trovi in paradiso perché è un peccatore”.